Che indicazioni ha?
Analisi citogenetica
Nei laboratori di citogenetica ben collaudati, l’analisi sui materiali fetali è di solito sicura. Ciononostante è innegabile che, per quanto riguarda le colture, quelle eseguite sul liquido amniotico, offrono migliori garanzie in termini di risultati.
Il prelievo dei villi coriali è invece caratterizzato da alcuni inconvenienti tecnici che talvolta invalidano la refertazione. Tra questi ricordiamo:
1) Il fallimento dell’analisi citogenetica
Nello specifico caso della analisi citogenetica sui villi, si procede ad un duplice metodo di indagine: la “lettura diretta” e la “coltura”.
La lettura diretta necessita del riscontro, sulle cellule prelevate, di un sufficiente numero di mitosi in metafase. Questo dipende in larga misura dal tipo di materiale villare prelevato; se ricco di mitosi spontanee il risultato citogenetico si ottiene nel giro del breve tempo necessario affinché i preparati siano allestiti e letti. Se povero di queste, si deve ricorrere alla coltura, che talvolta non riesce o lascia dubbi interpretativi, tali da non fornire alcun dato citogenetico certo, dovendosi in tali casi ricorrere successivamente all’amniocentesi. Tale inconveniente, nel nostro Centro, risultava più frequente agli inizi, più di 10 anni or sono; attualmente l’incidenza del fallimento dell’analisi è dell’ordine dell’1%.
2) La contaminazione con materiale materno.
La necessità di dover ricorrere alla coltura dei villi in assenza di mitosi spontanee, comporta oltre all’ allungamento dei tempi di lettura, anche una certa incidenza di errori a causa della possibile contaminazione con materiale materno.
Tale inconveniente avviene nello 0.3% delle amniocentesi e nell’1.9% delle villocentesi.
La quasi totalità dei casi di mosaicismo 46XX/46XY sono infatti dovuti alla contaminazione materno-fetale, in embrioni maschi. Ovviamente non possiamo conoscere quanti referti 46XX siano mosaicismi da contaminazione, giacchè, nel caso di embrione femmina, il cariotipo non differisce da quello materno.
Quando è possibile eseguire la diagnosi diretta, l’errore è trascurabile poiché il materiale esaminato deriva sicuramente da villi; le mitosi spontanee sono infatti rarissime nella decidua materna.
L’errore da contaminazione è, come si è detto, presente quasi esclusivamente se siamo costretti alla coltivazione dei villi.
L’errore derivante da una eventuale contaminazione materno-fetale avviene asnche se l’analisi condotta è quella molecolare o biochimica.
3) L’insorgenza di aberrazioni “in vitro”.
La maggior parte delle aberrazioni cromosomiche riscontrate nelle villocentesi sono da riferirsi a pseudomosaicismi. Con tale termine si intende la presenza di un cromosoma extranumerario presente solo nei villi ma del tutto assente nel feto. Questi, ovviamente, non hanno significato clinico. Per stabilire che si tratta di tale artefatto, il genetista esperto si basa essenzialmente sulle seguenti due considerazioni. La prima è che la cellula aberrante è solitamente unica quando ci si trova a leggere un allestimento diretto e, in coltura, l’alterazione interessa pertanto un unico clone di crescita. In tal modo nelle cellule coltivate l’aberrazione appartiene sempre a zone isolate di una stessa flasca. La seconda considerazione è che, solitamente, ci si trova di fronte a mosaicismi che non sono compatibili con la vita e che, pertanto, sono da considerare assolutamente come errori di coltura. Ad esempio sono molto frequenti i riscontri occasionali di patrimoni aberranti aneuploidi come il tetraploide. Il problema però può sorgere di fronte ad una anomalia possibile come la trisomia. Benchè il solo parametro di un riscontro in mitosi isolate debba tranquillizzarci, noi siamo comunque soliti, in tali casi, informare la coppia e procedere all’amniocentesi di verifica.
Le cellule del villo coriale presentano inoltre la caratteristica di essere portatrici di mosaicismi veri e propri che poi, al controllo, non sono presenti nei feti. Lo studio collaborativo a cui si è già fatto riferimento(21), ha mostrato come un mosaicismo vero sia presente nell’1% delle villocentesi. In circa l’80% dei casi l’anomalia era presente solo nei villi. A conferma del caratteristico confinarsi dell’anomalia ai soli villi sta il fatto che tutti i mosaicismi presenti nella letture dirette, non ritrovavano mai riscontro sui neonati; mentre circa il 40% veniva confermato quando il mosaicismo era stato osservato nelle colture.
Se eseguiamo un rapido calcolo delle problematiche tecniche sovra esposte, ci accorgiamo subito che, anche nella più ottimistica delle ipotesi, nel 4% dei casi il risultato può essere inficiato da errori, artefatti ovvero mancare del tutto. Questi dati debbono essere espressi con chiarezza nel consenso informato alla coppia prima di procedere alla villocentesi.
Per ciò che concerne il riscontro di eventuali anormalità cromosomiche apparentemente dubbie o bilanciate, valgono le considerazioni già espresse per l’amniocentesi precoce.
Tra le indicazioni citogenetiche della villocentesi va inoltre annoverata quella della determinazione rapida del cariotipo (rapid karyotiping) nel secondo o terzo trimestre di gravidanza. Ci si avvale infatti del prelievo dei villi coriali ogni qualvolta si vuole addivenire ad una rapida diagnosi del cariotipo. Ciò in alternativa alla tradizionale funicolocentesi, ove a questa non si potesse ricorrere per diversi motivi. Oggi però esiste la possibilità di eseguire cariotipi rapidi attraverso le tecniche di ibridizzazione a fluorescenza (FISH). Con tali tecniche si ottengono , come si vedrà in seguito, mappature dei diversi cromosomi di cui si hanno a disposizione le sonde specifiche direttamente nelle cellule in metafase. Per l’applicazione di tale tecnica è solitamente richiesto il liquido amniotico.
Analisi del DNA
L’applicazione della tecnica del DNA alla diagnosi prenatale di una affezione monogenica venne praticata per la prima volta nel 1976 e fu mirata alla ricerca della mutazione genica responsabile dell’alfa-talassemia. A questa prima esperienza ne seguirono molte altre, sia sui villi coriali che nel liquido amniotico fino al giorno d’oggi, in cui si può dire che le possibilità di diagnosticare una affezione genica in epoca prenatale con il DNA non riconosce altro limite se non quello della conoscenza e marcatura genica del sito o dei siti responsabili della malattia. In altri termini ogni qualvolta i biologi molecolari o i genetisti riconoscono il gene di una affezione nell’adulto, questa ricerca può essere eseguita anche nel feto.
Dei metodi specifici utilizzati diremo in seguito. Qui sarà utile accennare brevemente al perché la diagnosi molecolare sui villi coriali stia sempre più soppiantando le ricerche tradizionali sul liquido amniotico e sul sangue fetale.
I soggetti che vanno incontro alla diagnosi molecolare sono solitamente motivati da una rischio elevato per l’anomalia specifica, rischio solitamente valutato dal genetista sulla base dei parametri anamnestici e della familiarità.
Colui che ha un rischio elevato, e quindi una elevata possibilità di dover interrompere la gravidanza, richiede una diagnosi quanto più precoce possibile e la villocentesi risponde bene a tale requisito. Si tratta infatti della più precoce diagnosi prenatale ed inoltre, dal punto di vista strettamente laboratoristico, il poter disporre di una adeguata quantità di materiale di pertinenza fetale aiuta ulteriormente nell’abbreviare i tempi di diagnosi. Se dovessimo eseguire la stessa diagnosi sul liquido amniotico, spesso dovremmo ricorrere ad una coltura cellulare preliminare che allunga considerevolmente i tempi di analisi.
Si tratta inoltre di diagnosi certe, che laciano poco spazio ad errori interpretativi se ben condotte e su materiale puro e di buona qualità.
Degli aspetti tecnici si parlerà nel capitolo dedicato a tali tecniche. Basti qui dire che attualmente molte malattie geniche si studiano routinariamente sui villi coriali ed il ricorso per esse alle tradizionali tecniche, come la funicolocentesi, risulta del tutto da eliminare. La ricerca sui villi è infatti più precoce, sensibile, accurata e meno rischiosa. Prendiamo ad esempio la ricerca dell’anemia mediterranea. Fino a pochi anni or sono si eseguiva una funicolocentesi intorno alla 20^ settimana di gravidanza, la diagnosi (ammesso che il prelievo fosse ben riuscito) si eseguiva con un’analisi morfologica e pertanto imprecisa. Il rischio di abortire era elevato e pure estremamente pesante dal punto di vista fisico e morale era il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza, in caso di feto affetto, dovendo questa avvenire intorno alla fine del sesto mese.
Oggi la ricerca delle mutazioni geniche sui villi coriali fornisce una diagnosi di certezza, a sole 9-10 settimane di gestazione, con un rischio abortivo molto ridotto e con la eventualità di andare incontro ad una interruzione volontaria, per feto affetto, comunque entro il primo trimestre di gravidanza.
Attualmente sono entrate nel novero delle diagnosi prenatali di disordini mendeliani, tramite villi coriali, numerosissime patologie.
Tra le più comuni:
- Sordità Congenita
- X-fragile
- Fibrosi Cistica
Altre più rare come:
- Malattia di Duchenne
- Emoglobinopatie
- Werndig-Hoffmann
e centinaia di altre ancora per le quali si rimanda alla Consulenza Genetica Prenatale. Va tenuto comunque presente che, come detto in precedenza, il numero di queste si accresce quotidianamente e bisogna sempre mantenere stretti contatti con diversi Centri di biologia molecolare e genetica per poter conoscere se sia possibile addivenire alla diagnosi di una di queste, anche se si trattasse di malattie rare e poco note.
Ricerca della Paternità
E’ possibile individuare con assoluta certezza il genitore biologico. Cio’ avviene sia in casi di controversie legali e/o patrimoniali che, più raramente, in soggetti sottoposti a fecondazione in vitro dove vi sia il sospetto di uno scambio e/o di un errore di impianto dello zigote.
Ricerca di agenti infettivi sui Villi Coriali
Che le malattie infettive possano determinare malformazioni al feto è un concetto antico. Nel 1971 fu coniato il ermine T.O.R.C.H., acronimo di Toxoplasmosi, Rosolia, Citomegalovirus, Herpes e Others virus per descrivere una serie di infezioni che, trasmesse al feto in epoca prenatale, potevano determinare una anomalia.
La diagnosi prenatale si è quindi concentrata subito nel tentativo di riconoscere precocemente l’insorgere della malattia e dell’eventuale difetto.
A questo punto, corre l’obbligo di informare con chiarezza sui confini della diagnosi prenatale di malattie infettive, per cui vanno enunciati schematicamente alcuni principi culturali ai quali vale riferirsi prima di interpretare un protocollo di diagnosi prenatale di una eventuale malattia infettiva. Tale schema, come vedremo costituirà inoltre parte integrante del Consenso Informato a cui i genitori debbono essere introdotti prima di ogni procedura operativa.
- la presenza di una infezione nella madre non comporta affatto che questa debba necessariamente passare al feto, esistendo barriere naturali difensive. Ogni procedura invasiva deve ben tener presente questo concetto onde evitare il ricorso ad interventi inutili e talvolta pericolosi.
- La diagnosi prenatale invasiva, per quanto raffinata e sensibile, può darci solo informazioni in merito all’eventuale infezione fetale. Se questa abbia o meno determinato una anomalia nel feto non potrà mai stabilirlo con precisione ma solo in termini probabilistici. L’ecografia rimane pertanto l’unico vero strumento in grado di diagnosticare l’eventuale danno teratogeno, solo se questo si annovera tra quelli diagnosticabili con gli ultrasuoni. Ne consegue che bisogna assolutamente specificare con chiarezza che la diagnosi prentale invasiva è finalizzata alla sola ricerca dell’agente infettivo e non alla possibile malformazione.
Il ricorso alla villocentesi ai fini di diagnosticare una infezione del compartimento fetale è procedura relativamente recente. Deve essenzialmente la sua introduzione alla possibilità, fornita dalla biologia molecolare, di riconoscere anche minime porzioni di materiale genico dell’agente infettante. Nei villi coriali infatti l’agente infettivo staziona a lungo, anche molto tempo dopo che l’infezione acuta sia oramai esaurita, ed esso non può essere riscontrato in altri compartimenti. La placenta è infatti un eccellente terreno di coltura ove la presenza dell’agente infettante può permanere anche dopo il parto.
La possibilità di eseguire ricerche sul DNA di agenti infettivi, particolarmente di natura virale, ha modificato sostanzialmente i protocolli tradizionali rendendo il ricorso alla funicolocentesi non più giustificabile sul piano diagnostico, poiché tardivo, impreciso e rischioso. La cosa non cambia se si trattasse di infezioni sostenute da virus RNA giacchè la procedura si complica solo di un passaggio enzimatico preliminare, quello della transcriptasi inversa, volto a cambiare la sequenza di DNA.
Di enorme importanza è il ricorrere alla tecnica laboratoristica della reazione a catena della polimerasi (PCR), prima di ricercare con le sequenze specifiche, tramite ibridazione o altra tecnica genica, l’agente infettivo. La PCR infatti permette di amplificare più di un milione di volte le poche sequenze di DNA disponibile accelerando i tempi di indagine e rendendo la ricerca molecolare molto più sensibile.
L’isolamento del virus nei villi coriali può trarre in inganno nella sola evenienza che questo fosse andato a colonizzare solo la parte materna e non abbia forato il versante fetale della placenta. Come vedremo con più accuratezza nel capitolo specifico, tale evenienza è più teorica che reale ed il riscontro di DNA infettivo sui villi coriali corrisponde, nella quasi totalità dei casi al suo riscontro nel neonato. Cionondimeno tale ipotesi deve essere presa in considerazione nei casi dubbi ove la positività è borderline e la ricerca su altri tessuti fetali è negativa.