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Villocentesi – Come si esegue

I materiali impiegati differiscono del tutto a seconda della via da scegliere per il prelievo dei villi coriali, e pertanto, verranno elencati nella descrizione delle singole procedure.

Villocentesi transcervicale

Si tratta della tecnica più antica e, da noi, non più utilizzata dal 1985. Villocentesi transaddominale La villocentesi transaddominale rappresenta oggi la tecnica preferita da molti Centri, tra i quali il nostro.Proposta nel 1984 come metodo di diagnosi citogenetica meno rischiosa della transcervicale, fu prima, seppur sporadicamente, utilizzata per scopi diversi, quali la diagnosi di mola idatiforme nel 1966, oppure la valutazione dello stato placentare.

La tecnica da noi sviluppata e correntemente applicata, si basa sul prelievo ecoguidato mediante “doppio ago”.

Usiamo la stessa sonda ecografica già descritta per l’amniocentesi e dotata di uno stativo orientabile munito di un tunnel di guida il cui diametro può essere variato a seconda del diametro dell’ago. Utilizziamo 2 aghi.

Il primo, detto “guida” ha un gauge 18 ed una lunghezza di 15 cm. In questo si introdurrà il secondo, detto “prelevatore”, gauge 20 e lungo 20 cm., esattamente uguale a quello utilizzato per l’amniocentesi.

Una volta localizzato il punto esatto dove si intende prelevare il materiale, si introduce l’ago guida (Fig. 3a), si arriva al margine del chorion frondosum, si rimuove il mandrino (Fig. 3b) e si introduce il secondo ago che, essendo più lungo del precedente, potrà sopravanzarlo di quel tanto che riterremo necessario per approfondirsi nel chorion. Questo ago sarà già privo di mandrino e preventivamente raccordato con una siringa da 20 cc, a buona tenuta, che conterrà alcuni cc di un liquido di coltura o di soluzione fisiologica sterile (Fig. 3c).

Il movimento dell’ago prelevatore sarà duplice: l’escursione in sù ed in giù per pochi millimetri, nello spazio del chorion oltre la punta dell’ago-guida e, contemporaneamente, la rotazione sul proprio asse. Tali movimenti sono compiuti mentre viene mantenuta, tramite la trazione sullo stantuffo, la massima decompressione possibile. In tal modo si aspira il materiale che viene progressivamente tranciato dall’ago nei suoi movimenti; tale materiale si raccoglie nella siringa (Fig 3d).

L’ago prelevatore si muove per circa 10 secondi, poi lo si estrae e si cambia la siringa. Tale procedura viene eseguita 2 o 3 volte fino a quando un collaboratore, esperto nella valutazione dei materiale, ci avvertirà che questo è sufficiente.

Solitamente eseguiamo anche un ultimo passaggio aspirante con l’ago-guida, per pochi secondi e senza traumatizzare, giacchè mentre tutta la precedente procedura non genera in genere dolore, questo ultimo movimento ne provoca uno vivo. Tale ultimo passaggio deve pertanto esclusivamente entrare in quello spazio tracciato dall’ago prelevatore ed aspirare quei villi che, già sezionati, fossero rimasti imprelevati.
Ovviamente tutta la procedura viene seguita direttamente sullo schermo ecografico in “tempo reale”. In tal modo si può evidenziare con chiarezza il corretto posizionamento dell’ago guida al margine più prossimale del chorion e controllare la corretta escursione dell’ago prelevatore..

Con la biopsia transaddominale possono essere realizzati tre tipi di approccio al chorion:

  • Chorion anteriore
  • Chorion laterale o fundico
  • Chorion posteriore

Ognuna di queste eventualità presenta diverse caratteristiche.

Il chorion anteriore (Fig. 4a) è di solito sottile, il che comporta che la escursione dell’ago prelevatore sarà breve. Si dorvà perciò scegliere con cura lo spessore massimo in modo da ottenere una maggiore quantità di materiale.
Si dovrà inoltre evitare di forare il piatto coriale, cosa che ci porterebbe immediatamente all’interno del sacco gestazionale. Per precisione, in considerazione della precoce età gestazionale, questa errata manovra porterebbe la punta dell’ago nello spazio amnio-coriale.
Il chorion laterale o fundico (Fig. 4b) in qualsiasi parete fosse stivato, permette una escursione ampia ed il materiale prelevato è di solito abbondante. Tale inserzione è la migliore e la più frequente.

Bisogna aver cura di penetrare nel mezzo del chorion, tenendosi equidistanti tra il limite miometriale ed il piatto coriale. Se ci si insinua vicino alla base d’inserzione, l’ago prelevatore determina uno scollamento del chorion ed un sanguinamento vaginale. Sono questi di solito i casi nei quali aumenta il rischio abortivo.

La presenza di un chorion disposto posteriormente (Fig. 4c) imporrebbe, che, per raggiungerlo, l’ago-guida attraversi il sacco gestazionale. Tale evenienza, invero, è piuttosto rara, trovandosi quasi sempre il modo di manovrare la sonda e la sede di prelievo in modo tale da arrivare al chorion senza attraversare il sacco. Qualora però, ciò fosse necessario, può essere fatto senza particolare preoccupazione.

L’attuale esperienza infatti accumulatasi nell’eseguire embrioscopie diagnostiche, ci ha dimostrato con chiarezza che è sempre molto difficile che con l’ago si possa colpire l’embrione. A 10 settimane, inoltre, abbiamo notato che la maggior parte della cavità è occupata dal liquido compreso tra amnios e chorion, il cosiddetto spazio amnio-coriale. Embrioscopicamente si vede bene come l’embrione risulti sempre raccolto oltre la sottile e trasparente membrana amniotica, che non viene violata.

Come già detto è però quasi sempre possibile evitare di penetrare nel sacco amniotico e questo può essere fatto modificando la posizione della sonda ed orientando opportunamente la direzione dell’ago.

 La Villocentesi in condizioni particolari

Fin qui si è detto delle tecniche utilizzate ed utilizzabili in caso di gravidanza singola, in normale evoluzione. Vi sono però delle condizioni particolari delle quali va rammentata l’esistenza e nelle quali la procedura può subire delle varianti.

La villocentesi nelle gemellarità. Si tratta di una evenienza alquanto infrequente, ma non rarissima. Il ricorso a questa procedura, nelle gemellarità la si riserva alla ricerca prenatale di malattie a trasmissione ereditaria, nelle gravidanze ad elevato rischio specifico. Per le comuni ricerche sul cariotipo si preferisce attendere il tempo dell’amniocentesi, piuttosto chhe esporre la gravidanza al rischio elevato di due prelievi coriali.

Bisogna premettere che i 2/3 dei gemelli sono dizigotici, in tale caso ogni gemello avrà la sua placenta e le sue membrane. Trattandosi di gravidanze bicoriali e biamniotiche, si deve procedere a due prelievi distinti, nella stessa seduta, in modo da non confondersi sulla sede dei prelievi stessi.

In caso, invece, di gemelli monovulari, le possibilità sono diverse a seconda del momento in cui si è verificata la separazione dei blastomeri. Nel caso in cui la separazione avviene molto precocemente (a livello di blastomeri) questi si annideranno separatamente e si avrà una situazione simile alla gravidanza biovulare, con la formazione di due placente e due sacchi. In tali casi, ci si comporta come per le biovulari, essendo da quest’ultime indistinguibili su base ecografica.

Se la separazione avviene, invece, dopo che il trofoblasto si sia differenziato, ma prima che si formino le cavità amniotiche, si avrà una gravidanza monocoriale-biamniotica. Se la separazione avviene ancora più tardivamente, dopo la formazione della cavità amniotica, si avrà una gravidanza monocoriale e monoamniotica. In queste ultime due evenienze, il prelievo sarà unico giacchè il trofoblasto ha la stessa derivazione genetica per entrambi gli embrioni.

Se si pensa, pertanto, che una buona parte delle gravidanze monovulari sono monocoriali e biamniotiche, ci si rende conto che la villocentesi, in molte gravidanze gemellari, abbisogna di un unico prelievo. Anche qualora, però, dovessimo operare un doppio prelievo, il rischio non sembra raddoppiarsi rispetto ad una villocentesi per gravidanza singola. I casi sono ancora troppo limitati per poter stabilire il rischio effettivo di due prelievi.

Villocentesi in uteri fibromatosi. Si tratta di un’evenienza molto frequente e, in linea di massima, bisogna evitare di attraversare con l’ago-guida il fibroma.Il suo attraversamento, infatti, oltre che a generare maggior fastidio alla paziente, può far deviare il percorso dell’ago-guida.

Ciononostante, in mancanza di altre soluzioni, si deve procedere con cautela e delicatezza, attraversando la zona di maggiore resistenza senza eseguire manovre violente in modo da non provocare traumi o scollamenti. Villocentesi nelle minacce d’aborto. Si tratta di evenienze molto frequenti, essendo la minaccia d’aborto una complicanza riscontrabile in un’alta percentuale di casi nel primo trimestre di gravidanza. Normalmente ci si astiene dall’eseguire la villocentesi e la si rimanda di un tempo necessario affinchè la situazione di urgenza cessi.

Bisogna notare che non vi è necessaria corrispondenza tra minaccia d’aborto ecograficamente evidente, sotto la forma di uno scollamento del sacco gestazionale e minaccia d’aborto clinicamente accertata. Affinchè quest’ultima sia presente, è necessario che coesistano due condizioni: le perdite ematiche ed il dolore. Personalmente ci asteniamo da eseguire villocentesi in tutti i casi in cui esistano i segni clinici della minaccia d’aborto, sia che questa si rappresenti o meno all’ecografia.

Per quel che invece concerne i riscontri ecografici ” isolati “, privi cioè di ogni sintomatologia clinica, ci si comporta in modo differenziato a seconda di quanto lo scollamento sia importante e di come si intende accedere al trofoblasto.

Tecniche miste

In occasioni particolari può risultare necessario dover prelevare contemporaneamente villi coriali e liquido amniotico. Ciò avviene quando si deve esaminare la presenza di materiale infettivo nei due distretti ovvero quando le tecniche genomiche necessitano di una verifica sia sugli amniociti che sulle cellule del trofoblasto.
Tali indagini si eseguono di solito nel secondo trimestre di gravidanza.

In tali casi non è necessario eseguire due prelievi distinti, ma si può procedere in un’unica operazione avendo l’accortezza di scegliere, nel posizionare l’ago, una traiettoria che includa la placenta e la cavità amniotica.

Si danno per tale tecnica due possibilità:

  • placenta anteriore
  • placenta posteriore.

Nelle tecniche miste con placenta anteriore si inserisce l’ago guida (18 gauge) fino al margine superiore della cavità coriale, come avviene nelle comuni villocentesi. Si inserisce poi l’ago prelevatore (20 gauge) eparinizzato, praticando il prelievo come già descritto in precedenza. L’ago prelevatore può essere inserito anche una seconda volta se il materiale non è sufficiente. In questa operazione bisogna porre grande attenzione a non superare il piatto coriale onde evitare di procurare lesioni dello stesso con conseguenti sanguinamenti endoamniotici.

Si passa poi al prelievo di liquido amniotico, introducendo un nuovo ago sterile, dello stesso gauge di quello prelevatore, all’interno dell’ago guida e procedendo con decisione in basso superando il piatto coriale ed entrando in cavità amniotica.

Il prelievo fornirà un liquido non contaminato da sangue se nella procedura della villocentesi si era rispettato il piatto coriale. Rimosso tale ago si potrà poi prelevare, se necessario, un ulteriore frustolo di villi operando un’altra aspirazione con l’ago guida. In definitiva per le tecniche miste con placenta anteriore si utilizzeranno due aghi prelevatori ed uno guida.

Nelle tecniche miste con placenta posteriore la metodica è ancora più semplice. Si insrisce l’ago guida nella cavità amniotica senza arrivare alla placenta. Si esegue quindi il prelievo di liquido amniotico, che risulta più rapido in considerazione del diametro dell’ago. Si prosegue poi facendo penetrare l’ago guida nella placenta, forando il piatto coriale. A questo punto si inserisce l’ago prelevatore dei villi e di qui in poi ci si comporta come per una comune villocentesi. Nelle tecniche miste con placenta posteriore si utilizzeranno un unico ago guida ed uno prelevatore.

Controllo del materiale prelevato

Una volta eseguito il prelievo si passa alla fase del controllo della quantità e qualità del materiale. Queste operazioni devono essere compiute in locali adiacenti a quello del prelievo e, comunque, prima di rimuovere la gestante dalla sua posizione, onde poter ripetere il prelievo al bisogno.

Il controllo del materiale raccolto viene eseguito solitamente al microscopio, sotto cappa a flusso laminare o verticale come sono le più recenti. Quando però si sarà ottenuto un buon grado di affiatamento nell’equipe, i tempi si snelliscono molto ed il controllo della quantità ed addirittura della qualità del materiale prelevato diviene cosa molto semplice che si esegue già con la prima osservazione nella siringa.

La separazione dei villi coriali dalla decidua e dai coaguli è procedura altrettanto delicata e solitamente affidata al biologo genetista presente nell’equipe. In mancanza del genetista, dopo un opportuno training, anche un collaboratore diverso, tecnico, medico o paramedico può egregiamente supplire.
Nel nostro Centro oramai il controllo dei villi viene eseguito “in tempo reale” da una giovane ostetrica, resa abilissima dalla lunga pratica e senza che la presenza del genetista sia più necessaria, da anni. Questi peraltro non ha mai avuto a lagnarsi della preparazione del materiale.

Dopo ogni procedura di aspirazione, l’ago prelevatore viene rimosso, il materiale raccolto nella siringa viene rapidamente esaminato. In tal modo si riduce il numero delle procedure di introduzione dell’ago prelevatore solo a quelle necessarie.

Il materiale prelevato viene poi raccolto in una capsula di Petri o in una provetta a fondo conico, tipo Falcon. Con una pipetta di Pasteur si passa poi alla separazione e pulitura dei villi da inviare al laboratorio. Il lavaggio dei villi stessi, per purificarli dalle contaminazioni (sangue, muco, decidua) viene esesguito sterilmente con liquido di Chang o con soluzione fisiologica. E’ bene che tali procedure siano eseguite sotto cappa a flusso laminare.

Se il materiale è ben preparato i villi risulteranno molto puri (Fig. a fianco).

Ma affinchè il genetista possa fornire una risposta affidabile ed in tempi brevi, bisogna che il materiale prelevato sia di buona qualità e non solo ben preparato.
Si deve innanzitutto tener presente che, ai fini di una più accurata e veloce diagnosi citogenetica, il materiale villare migliore è quello che si reperisce nella porzione di chorion frondosum più vscolarizzato, presso l’inserzione del funicolo.

I villi coriali prelevati per via transcervicale derivano dal seno marginale del chorion frondosum che, di solito, non sono i migliori per un esame citogenetico diretto. Più rare sono infatti le mitosi spontanee alla periferia del chorion e di solito per ottenere un responso diagnostico si deve ricorrere alla coltura.

D’altra parte se la biopsia coriale si esegue per motivi diversi da quelli citogenetici, come avviene per una ricerca di anomalie geniche mediante analisi del DNA, la sede del prelievo è indifferente giacchè non risulta necessario prelevare villi in mitosi spontanea. Riveste invece enorme importanza la purezza del materiale, per cui deve essere evitata ogni contaminazione con tessuti materni.
La quantità dei villi da prelevare varia a seconda della loro qualità e del tipo di indagine da eseguire. Le indagini citogenetiche sono quelle che richiedono la migliore qualità di villi. In teoria la quantità sufficiente ad una indagine diretta varia dai 5 ai 20 mg., di tessuto secco ottenuto.
Per le indagini geniche-molecolari il quantitativo di materiale varia anch’esso fra i 10 ed i 20 mg., con notevole variabilità a seconda del laboratorio e della metodica. Il prelievo per via transcervicale difficilmente può fornire quantità superiori a quelle sovracitate ed è anche per tale motivo che gli operatori si sono rivolti al prelievo transaddominale, in cui è di regola prelevare oltre 50 mg di materiale villare.

Il prelievo di 50 mg è solitamente ben tollerato, senza danni per la prosecuzione della gestazione. Le indagini biochimiche o molecolari sono di solito meno esigenti. Il requisito più importante per tali esami e, come si è detto, la purezza.

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