fbpx

In questi ultimi decenni l’ostetricia moderna, dopo aver affrontato la sorveglianza del feto nel terzo trimestre e durante il travaglio di parto con adeguati piani di intervento che hanno determinato una sensibile riduzione della mortalità e morbilità perinatale, ha rivolto la sua attenzione alla individuazione e prevenzione della “patologia prenatale“, spogliando così il feto da quell’aura di mistero e da quella dimensione di inviolabilità che lo caratterizzavano in passato.

L’Amniocentesi e la Villocentesi rappresentano le metodiche più sicure per conoscere l’assetto genetico e cromosomi del feto. Queste metodiche grazie agli studi di genetica e biologia molecolare sono oggi in grado di fornire certezze su tutto quanto è possibile conoscere sullo stato di salute genetico e cromosomi dell’individuo.

In conseguenza delle informazioni che man mano emergevano dal mondo intrauterino, si è venuta formando la consapevolezza scientifica che molte problematiche del bambino e dell’adulto si generano prima di nascere. L’introduzione di metodiche di valutazione indiretta (biochimica) e diretta (biofisica) del feto ne hanno permesso un’adeguata investigazione, completata dal sempre maggiore ricorso alle tecniche di prelievo di materiali biologici fetali (amniocentesi, villocentesi ecc …). Si è potuto così fruire sia di una diagnostica sofisticatissima che, in certe condizioni, di un trattamento medico e/o chirurgico intrauterino.

Oggi la diagnosi prenatale consente, quindi, di conoscere in molti casi lo “stato di benessere” del feto sia nel rischio riproduttivo che in presenza di noxae patogene ambientali, conducendo, in taluni casi, a scelte difficili sia per la coppia che per il medico.

L’amniocentesi, procedura che consente il prelievo transaddominale di liquido amniotico (L.A.), è certamente la metodica più diffusa, ma anche la più antica di questa giovane disciplina. Affonda infatti le sue radici agli inizi del 19° secolo quale pratica chirurgica per il polidramnios o per l’instillazione di soluzioni ipertoniche al fine di indurre l’aborto.

È solo nel 1950 che l’amniocentesi venne utilizzata per indagare lo stato di salute fetale con l’analisi spettrofotometrica della bilirubina sul liquido amniotico valutando in tal modo la compromissione fetale nella isoimmunizzazione. Nello stesso anno, per la prima volta, sugli amniociti si determinò il sesso cromosomico mediante la ricerca della cromatina di Barr.

Nel 1966 Steele e Breg mediante la coltura di cellule amniotiche studiarono il cariotipo fetale e nel 1968 Nadler individuò con analisi enzimatiche il primo disordine metabolico diagnosticato in utero: la galattosemia.

Tradizionalmente l’amniocentesi precoce è eseguita attorno alla 16° settimana di gestazione, allorché l’utero, aumentato di volume, rende la cavità amniotica facilmente raggiungibile.

In questa epoca la quantità degli amniociti appare ideale ai fini della loro coltura in vitro; tuttavia, come vedremo, sono state eseguite con successo amniocentesi anche in epoche diverse e talvolta precocissime.

Un attento esame ultrasonico deve sempre precedere la procedura al fine di documentare la vitalità fetale, il numero dei feti, confermare l’età gestazionale, rilevare eventuali anomalie strutturali o significative patologie uterine od annessiali ed infine valutare il volume di liquido amniotico, la sede e la tasca ottimale per il prelievo.

Oggi l’ago viene sempre introdotto sotto guida diretta ultrasonica così da visualizzarne con accuratezza il tragitto. Generalmente si usa un ago da 20 o 21 gauge da cui, una volta collocato nel sito prescelto, è rimosso il mandrino e vi si collega una siringa per il prelievo di circa 20 ml di liquido. Il primo centimetro cubico, all’incirca, viene scartato per ridurre il rischio di contaminazione materna.

Il sito di inserzione dell’ago deve permettere che si raggiunga una tasca con un adeguato volume di liquido amniotico, non comprendere parti fetali né il cordone ombelicale ed evitare i vasi del piatto coriale. Secondo la più antica letteratura la placenta non doveva essere attraversata. Erroneamente, diversi studiosi, hanno creduto che le amniocentesi transplacentari fossero associate ad un più alto rischio di abortività spontanea rispetto alla via transamniotica. Tale erronea convinzione derivava, ancorché dalla scarsa esperienza di questi studiosi (si noti che nessuno di loro poteva vantare esperienze personali superiori alle mille procedure) ed inoltre dal fatto che, in molti casi, le amniocentesi non erano ecoguidate.

È d’uopo rammentare che una delle cause di fallimento del prelievo di liquido amniotico è dato dal disporsi “a tenda” delle membrane. Tale inconveniente, visualizzato con gli ultrasuoni, può essere risolto estraendo l’ago per alcuni millimetri per poi spingerlo in avanti con un movimento deciso e veloce. In molti casi conviene addirittura trapassare con l’ago la parete posteriore della cavità. In tal modo la membrana amniotica viene obbligatoriamente forata. Ritraendo poi l’ago, si penetra immancabilmente nello spazio amniotico. Se necessario, l’ago può essere introdotto una seconda volta, con la medesima procedura, ma solitamente non più di due volte. Il razionale di questa considerazione, consiste nel ridurre il rischio fetale, che aumenta in rapporto al numero di introduzioni dell’ago nella stessa amniocentesi e non al numero di procedure, quando queste siano distanziate nel tempo.

Nella gravidanza multipla l’esame ultrasonografico, che precede l’amniocentesi, deve visualizzare con precisione la membrana che separa i sacchi, oltreché la posizione dei feti all’interno di ogni singolo sacco. Introdotto l’ago nel primo sacco ed aspirato un campione di liquido amniotico, prima di rimuoverlo si consigliava in precedenza di iniettare del blu di metilene. In tal modo, qualora il prelievo nel secondo sacco fosse caduto erroneamente nello stesso del primo, il liquido risultava colorato di blu. Attualmente, a causa di una raccomandazione diffusa dal Ministero della Sanità, tale colorante non dovrebbe essere più infuso in amnios. In tale circolare si segnalava, infatti, che, a causa di una flogosi aspecifica provocata dal blu di metilene, si potessero determinare danni al feto. Questo sulla mera scorta di un’unica segnalazione, relativa ad un caso di stenosi digiunale verificatasi in un feto nel cui sacco amniotico era stato iniettato tale colorante. L’osservazione fu compiuta in Olanda su di un occasionale reperto occorso in una popolazione di sole 15 coppie di gemelli. Altre, più antiche segnalazioni, ponevano l’accento sulla possibile insorgenza di metaemoglobinemia con l’utilizzo dello stesso colorante. Quando la procedura lo richiedesse, si può procedere alla introduzione di rosso congo o di indaco carminio. In tal modo, come si è detto, ci si accerta che il secondo prelievo non derivi dal medesimo sacco. Non ci è oggi chiaro il perché, in passato, nelle amniocentesi gemellari, si riscontrasse un discreto numero di falsi positivi. Il rischio abortivo peraltro non supera di molto quello esistente nella gravidanza singola, benché alcuni hanno pensato, su base puramente teorica, che fosse esattamente il doppio, in base al fatto che si dovesse effettuare un doppio prelievo. In realtà questo non è vero e, nei Centri con massima esperienza, il rischio è sovrapponibile.

IN MERITO ALLE RICERCHE ESEGUIBILI:

La diagnosi citogenetica del feto su colture di cellule amniotiche rappresenta indubbiamente l’indicazione più comune dell’amniocentesi. L’associazione a tutti nota tra età materna avanzata e rischio di non disgiunzione cromosomica è ben documentata ed i dati epidemiologici riguardano non solo la trisomia 21, ma anche la trisomia 13, 18, 47XXX e la sindrome di Klinefelter (47XXY). È comunque da ricordare che in alcune casistiche l’incidenza di cromosomopatie al momento dell’amniocentesi è circa quattro volte superiore rispetto alla nascita, ciò per l’elevata abortività spontanea dei feti anomali.

Attualmente, però tale indagine appare troppo limitata rispetto alle enormi potenzialità della metodica, soprattutto grazie all’introduzione delle ricerche sul DNA.

Oggi, in genere, si ricercano routinariamente anche le più comuni malattie genetiche come la  Fibrosi Cistica, la Sordità Congenita, il Ritardo mentale (detta Sindrome dell’X-Fragile), la distrofia muscolare di Duchenne, ma, volendo si possono ricercare centinaia di altre patologie genetiche, dalla betatalassemia all’emofilia A e B, al rene policistico dell’adulto ecc. ecc. Come, peraltro, in medicina forense è talvolta richiesto l’esame di paternità.

Sempre grazie alla biologia molecolare oggi è possibile ricercare un agente infettivo che si sospetti possa aver contagiato il nascituro. Si può oggi individuare, mediante la tecnica della polimerase chain reaction (PCR) direttamente il genoma, ossia la forma replicativa, dell’agente infettivo, superando i metodi tradizionali indiretti che esprimevano la produzione anticorpale fetale (IgM). Tali metodi infatti risultavano molto imprecisi poiché dipendevano molto dalla variabile maturità del sistema immunitario a sua volta legato all’età gestazionale.

Pur nei limiti della sua attendibilità (poiché limitata da alcuni falsi negativi) oggi si tende ad eseguire anche lo screening delle più frequenti anomalie metaboliche mediante l’analisi biochimica del liquido amniotico. Si tratta di malattie del metabolismo, da forme lievi a forme molto severe, che colpiscono un bambino su 500.  Le conseguenze più gravi, neurologiche e fisiche, di queste malattie derivano dal fatto che una o più sostanze alimentari diventano tossiche nei soggetti che presentano alcuni errori del metabolismo.
Lo Stato, le Regioni e decine di Associazioni, attraverso iniziative pubbliche e private, fanno continui e lodevoli sforzi per promuovere gli screening di queste malattie alla nascita e permettere, per quanto possibile, di ridurre i danni neurologici che un’alimentazione non specifica può produrre in questi bambini.
Fare questi screening dopo la nascita è utilissimo ma, spesso, è troppo tardi.
Infatti in alcuni casi, la madre già in gravidanza potrebbe intervenire attraverso un’opportuna terapia (alimentare o farmacologica) per evitare i gravi danni neurologici che tali errori congeniti determinano già a partire dalla vita intrauterina.
Pur trattandosi di uno screening (e quindi non di una diagnosi certa) si riescono ad individuare molti soggetti che sono affetti da queste malattie e fare prevenzione già in utero.

Ed è per questo, per l’enorme valore etico e l’importante risvolto clinico, che alcuni Centri di Diagnosi Prenatale introducono gratuitamente lo screening prenatale delle malattie metaboliche in tutte le donne che si sottopongono all’amniocentesi.

Inoltre il nuovo “cariotipo molecolare” analizza in sole 72 ore tutte le alterazioni del numero dei cromosomi (trisomie come la  Sindrome di Down e tutte quelle altre alterazioni che normalmente appaiono al cariotipo tradizionale).  Inoltre, essendo un esame di biologia molecolare indaga, contemporaneamente, su circa altre 80 patologie che nell’amniocentesi tradizionale non potrebbero essere viste. Oltre queste 80, il cariotipo molecolare può scoprire anche altre centinaia di errori genici (delezioni , microdelezioni e micro duplicazioni) che, come le prime, sfuggirebbero all’amniocentesi tradizionale. Il cariotipo molecolare, nel nostro laboratorio, utilizza una metodica CGH-Arrays validata per la Diagnosi Prenatale.

IN MERITO AI RISCHI:

Gli studi attuali, mostrano, invece, un’incidenza di abortività spontanea, natimortalità, e mortalità neonatale non statisticamente differente nel gruppo sottoposto ad amniocentesi rispetto a chi non la esegue (Eddleman KA, Malone FD, Sullivan L, Dukes K, Berkowitz RL, Kharbutli Y, Porter TF, Luthy DA, Comstock CH, Saade GR, Klugman S, Dugoff L, Craigo SD, Timor-Tritsch IE, Carr SR, Wolfe HM, D’Alton ME. Pregnancy loss rates after midtrimester amniocentesis. Obstet Gynecol. 2006 Nov;108(5):1067-72).

Ancora più recentemente il rischio, in ampie casistiche dei centri di alto riferimento, varia in percentuale di aborto intorno allo 0,1% (Odibo AO, Gray DL, Dicke JM, Stamilio DM, Macones GA, Crane JP. Revisiting the fetal loss rate after second-trimester genetic amniocentesis: a single center’s 16-year experience. Obstet Gynecol. 2008 Mar;111(3):589-95.).

Il più grande TRIAL randomizzato mai condotto sui rischi dell’amniocentesi è stato pubblicato da noi nel 2009. Questo enorme studio, su di una popolazione  di 36247 soggetti reclutabili, ha dimostrato che il rischio di aborto, nelle donne che eseguirono amniocentesi dopo aver assunto un’ antibiotico-profilassi,  è addirittura inferiore rispetto a chi non la esegue affatto. Il rischio di abortire nel nostro centro, nelle gravide che hanno assunto la profilassi antibiotica, è infatti bassissimo, limitato allo 0,031%  (Giorlandino C, Cignini P, Cini M, Brizzi C, Carcioppolo O, Milite V, Coco C, Gentili P, Mangiafico L, Mesoraca A, Bizzoco D, Gabrielli I, Mobili L. Antibiotic prophylaxis before second-trimester genetic amniocentesis (APGA): a single-centre open randomised controlled trial. Prenat Diagn. 2009 Jun;29(6):606-12.).

Il rischio di Rh sensibilizzazione postamniocentesi è sconosciuto. Infatti la letteratura più datata parlava circa dell’1% mentre attualmente si ritiene che il rischio sia praticamente inesistente. Lo “American College of Obstetrician and Gynecologist” raccomanda la somministrazione di 300 microgrammi di immunoglobuline Rh in seguito a procedure eseguite nel II° e III° trimestre.

Secondo la letteratura più datata, esisterebbe anche un rischio interpretativo. Infatti l’analisi citogenetica delle cellule del Liquido amniotico riflette nel 99% dei casi il patrimonio cromosomico del feto, ed identifica il corrispondente fenotipo, ma ci sono dei casi in cui traslocazioni o mosaicismi rendono difficile la definizione fenotipica. Risulta piuttosto intuitivo comprendere come tali osservazioni dipendano molto dalla qualità del materiale prelevato e dalla esperienza dei laboratori di citogenetica prenatale. Esiste la possibilità di artefatti “in vitro”. Questo può avvenire infatti dal 2% al 3% delle colture. Tra le altre si verificano più frequentemente poliploidie. Il cromosoma 20, per esempio, è uno dei cinque cromosomi più frequentemente coinvolti in pseudomosaicismi. L’origine delle cellule è probabilmente extraembrionaria ed il mosaicismo, in tali casi, non è ovviamente presente nei tessuti fetali. Solo circa il 20% di tali alterazioni del cariotipo corrisponde ad un effettivo difetto nel feto.

Il risultato citogenetico lo si otteneva, con coltura tradizionale normalmente entro 15-20 giorni dall’inizio della coltura stessa. Attualmente l’introduzione del metodo di coltura in fiasche, ha permesso di accorciare molto i tempi anche con  la metodica QFPCR (Fluorescent in situ hybridization).

Studi iniziali hanno mostrato che la sicurezza ed il successo delle amniocentesi eseguite in epoca molto precoce sono sovrapponibili a quelle effettuate in epoche gestazionali più tardive. Tuttavia questi lavori non permettono una valutazione accurata, perché si tratta sempre di studi condotti su di un piccolo numero e nella maggior parte dei casi in un’epoca gestazionale di 14 settimane e mai inferiore.

 Per appuntamenti di diagnosi prenatale, fuori orario segreteria, si può telefonare in ogni momento al numero 06 85 05 505, (numero attivo anche festivi e notturni)


    Richiedi subito una prenotazione
    o chiama direttamente lo
    068505 (sempre attivo)

    Nome - Cognome *:

    Esame da eseguire *:

    Scrivi il giorno dell'esame*:

    Seleziona l'orario :

    Indirizzo email *:

    Inserisci Telefono* :

    Informazioni Aggiuntive :

    Ho letto e accetto l'informativa sulla privacy riportata qui

    Voglio ricevere sconti e promozioni dedicati

    × Chat