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Villocentesi – Notizie Generali

Il prelievo dei villi coriali trova il suo razionale nella considerazione che il trofoblasto ed il feto originano dal medesimo tessuto.

Tale procedura fu eseguita la prima volta nel 1966 da Alvarez per via transaddominale per la diagnosi di mola idatiforme e solo nel 1968 Hahnemann utilizzò il prelievo dei villi coriali per la diagnosi prenatale . Da allora, numerosi sono stati i tentativi eseguiti per prelevarne un campione per via transcervicale, ma sempre alla cieca, al fine di ottenere una quantità di tessuto trofoblastico adeguato allo sviluppo di colonie per lo studio del cariotipo.

Nel 1975 ricercatori cinesi prima, e statunitensi poi, riportarono il successo ottenuto nella determinazione precoce del sesso cromosomico, basato sulla ricerca della cromatina sessuale, mediante aspirazione dei villi coriali.

Successivamente Rhine mediante lavaggio della porzione inferiore della cavità uterina ottenne cellule trofoblastiche nel 70% dei casi, ma mappe cromosomiche solo nel 49% dei casi . Già in quegli anni ci si rese conto che uno dei maggiori problemi risiedeva nella possibilità di ottenere tessuto misto a cellule materne. Solo nel 1980 Niazi, sottoponendo il tessuto trofoblastico, prelevato tramite suzione, a digestione con tripsina, riduceva la contaminazione con cellule materne ed otteneva una maggiore affidabilità).

Tuttavia, fino agli inizi degli anni ‘80, il successo di queste ricerche, eseguite per via transcervicale, indipendentemente dalla tecnica di esecuzione (aspirazione o biopsia), era estremamente variabile, fluttuando dallo 0% al 78%.

L’introduzione, sempre negli anni ‘80, della guida ultrasonica per il prelievo transcervicale dei villi coriali apportò notevoli vantaggi, ma rimaneva, comunque elevato il rischio di infezione intrauterina. Inoltre il range temporale in cui si poteva eseguire il prelievo transcervicale, oscillava entro limiti troppo ristretti (9^ – 11^ settimana di gestazione).

L’approccio per via transaddominale fu suggerito nel 1984 e largamente utilizzato dalla seconda metà degli anni ‘80 con indubbi vantaggi, rispetto al prelievo transcervicale, sia per la maggiore familiarità degli operatori con tale via di approccio, che per il minor rischio di infezione intrauterina.

Le indicazioni al prelievo dei villi coriali, già dai primi tempi, includevano, oltre lo studio del cariotipo e quindi le alterazioni numeriche e strutturali cromosomiche, anche le analisi enzimatiche e molecolari.

La ricerca diretta ad ottenere dalle cellule trofoblastiche i relativi cariotipi, risultano particolarmente allettanti proprio in ragione della rapidità con cui si può ottenere il risultato citogenetico.

Le cellule trofoblastiche possiedono, infatti, un alto indice di crescita mitotica e permettono di eseguire colture long-term spesso molto rapide (soli 5-7 giorni), periodo inferiore rispetto alle colture degli amniociti. La possibilità inoltre di poter esaminare direttamente le cellule prelevate in mitosi spontanea, rende i termini temporali riducibili a soli 2-3 giorni.

Alcune problematiche hanno reso però difficile e lenta l’introduzione routinaria di questa metodica nella diagnosi prenatale.

Dei diversi problemi tratteremo in seguito con maggiore dettaglio. Adesso preme invece elencarli in prima istanza, definendone genericamente i contorni:

Rischio di aborto

Per molto tempo si è stimata una maggiore pericolosità del prelievo dei villi coriali rispetto all’amniocentesi. Questo dato è certo se il prelievo viene effettuato per via transcervicale, mentre per il prelievo transaddominale le differenze sembrano essere molto ridotte. Nel nostro centro che vanta un’esperienza trentennale è stata progressivamente messa a punto una metodica assolutamente priva di rischi e indolore che ha permesso di considerare la villocentesi una procedura priva di rischi specifici.

Rischio di errore diagnostico.

Circa la discrepanza tra il cariotipo delle cellule dei villi coriali ed il cariotipo fetale, recenti studi di comparazione con l’amniocentesi hanno mostrato una discordanza del 2,1% di cui l’1,2% costituito da mosaicismi. Questi dati possono essere spiegati considerando che i villi coriali sono tessuti non embrionari e che il mosaicismo potrebbe essere confinato al solo tessuto placentare.

Inoltre, mentre nelle preparazioni dirette si studia il cariotipo del citotrofoblasto che presenta spesso aneuploidie e mosaicismi, nelle colture a lungo termine si esamina il cariotipo dei fibroblasti (asse mesenchimale del villo) che rispecchia più fedelmente il cariotipo fetale. Tuttavia sono stati oservati, anche se più raramente, aneuploidie e mosaicismi anche nelle colture in presenza di diploidia fetale, come pure diploidie nelle preparazioni dirette ed aneuploidie (non mosaicismi) sia nelle colture che nel feto.

Attualmente la sensibilità e l’esperienza dei genetisti ha permesso di ridurre notevolmente falsi positivi e falsi negativi. Ciononostante il valore predittivo e l’accuratezza della metodica non sono ancora tali da escludere totalmente il controllo mediante amniocentesi.

Danni all’embrione

Si è segnalata la possibilità di portare al feto, anche per via transaddominale, infezioni materne. Negli ultimi anni si è inoltre osservata la possibilità di indurre eventi malconformativi al feto a seguito di procedure eseguite in epoche troppo precoci di gravidanza. La prima segnalazione risale al 1991, da parte del Radcliffe Maternity Hospital. Si riferiva a 4 casi di ipoplasia oro-mandibolare e focomelia su 289 gravidanze sottoposte a prelievo dei villi coriali tra il 50° ed il 66° giorno di gravidanza. Tale incidenza, pari all’1,7% era sensibilmente superiore a quella riportata dal Registro Europeo delle Anomalie Congenite e dei Gemelli. Nello stesso anno anche Mastroiacovo riportava, da un attento studio multicentrico, un aumento della percentuale di anomalie degli arti. Questa associazione non è stata però confermata in numerosi altri studi(23). Al momento attuale, infatti, non vi è una assoluta univocità di vedute in tal senso. I dati del Registro Europeo delle Anomalie Congenite e dei Gemelli, suggeriscono che, ammesso che vi sia realmente una maggiore incidenza di anomalie degli arti nelle gravidanze sottoposte a villocentesi, questo deve essere messo in relazione a procedure eseguite in epoche precoci.

Le segnalazioni infatti si riferiscono tutte ad anomali insorte in gravidanze in cui la villocentesi fu eseguita prima della 7^-8^ settimana di gravidanza. In considerazione della contraddittorietà dei dati oggi disponibili, appare comunque prudente astenersi dalla villocentesi in epoche precoci rispetto alla 10^ settimana. Ciò in considerazione che, nella specie umana, la differenziazione degli arti si completa a 52 giorni di gestazione per le braccia ed a 56 giorni per i piedi e le gambe.

Giorlandino e coll hanno segnalato su ” The Lancet” che Il prelievo dei villi coriali rappresenta una metodica estremamente rischiosa al fine di una eventuale trasmissione diretta, in senso materno fetale di infezioni. In tale ottica vanno eseguiti ove sorga il sospetto, tutti quegli accertamenti necessari ad escludere che la madre sia portatrice di infezioni virali al momento del prelievo.

Per quanto riguarda gli esami preliminari all’atto operatorio, questi di solito non differiscono sostanzialmente da quelli dell’amniocentesi (vedi).

E’ assolutamente necessario che l’operatore esegua una ecografia personalmente al fine di stabilire l’epoca più favorevole e la via di approccio più facile da seguire.

L’epoca, come si è accennato in precedenza, si colloca sempre dopo la 9^ settimana. Nel nostro Centro, salvo casi particolari, preferiamo eseguirla alla 10^ settimana, quando il CRL è superiore ai 20 mm.

L’approccio attualmente preferito è senz’altro quello transaddominale.

L’ecografia precedente il prelievo stabilisce se conviene operare o attendere. Stabilisce inoltre il tragitto che l’ago guida dovrà seguire nel suo percorso.

 

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