Roma, 5 dic. (askanews) – “Il fatto che questa gravidanza sia stata ottenuta mediante un trapianto da una donatrice non vivente è senz’altro un grande successo. La procreazione medicalmente assistita e la genetica hanno permesso di raggiungere traguardi impensabili fino a poco tempo fa, e adesso, con questa metodica, si può superare anche l’ultimo fattore ritenuto insormontabile: quello dell’infertilità assoluta del fattore uterino”.
Così il professor Claudio Giorlandino, direttore generale dell’Italian College of Fetal Maternal Medicine, commenta la prima nascita avvenuta grazie ad un trapianto di utero da donatrice deceduta, a San Paolo, in Brasile, e reso noto dalla rivista scientifica Lancet.
“La possibilità di trapiantare un utero da una donatrice a una donna è stata sperimentata ormai quattro anni fa – afferma l’esperto – Era il 2014 quando fu eseguita la prima dimostrazione da una donna vivente ad un’altra. Ma la strategia legata a un trapianto da donatore vivo è senz’altro più favorevole rispetto a quella da donatore morto, perché la vascolarizzazione è più apprezzabile e i vasi uterini possono essere azionati in modo migliore per il trapianto. Le tecniche sono estremamente raffinate e in genere riservate solo a grandi esperti in chirurgia oncologica ginecologica”.
“Il trapianto tra viventi offre dunque maggiori possibilità di pianificazione dell’intervento – prosegue Giorlandino – e riduce anche il tempo di ischemia a freddo, che potenzialmente si traduce in un tasso di successo più alto. Il trapianto da una donatrice non vivente è dunque un grande successo. Questo approccio infatti rimuove i limiti legati a problemi etici, in conseguenza del rischio di doversi sottoporre ad un intervento chirurgico piuttosto invasivo, e quelli legali”.
“Va infatti considerato che la donatrice perde la sua potenzialità di generare subendo una menomazione permanente della sua capacità riproduttiva. Le strategie di donatore vivente e cerebrale – conclude l’esperto – non si escludono a vicenda e, vista l’attuale scarsità di innesti uterini e il previsto aumento futuro della domanda, entrambi saranno probabilmente necessari”.
Al riscontro dei dati suddetti (anticorpi positivi, Proteina C ultrasensibile elevata, Interleuchina aumentata) si consiglia caldamente di procedere all’esame del D-Dimero. Questa analisi diviene imperativa se compaiono i primi segni del cosiddetto SOFA score, che si basa sostanzialmente su quattro elementi: lo stato mentale alterato, la frequenza respiratoria aumentata oltre 22 atti respiratori al minuto e il livello della pressione arteriosa sistolica, cioè la massima, inferiore a 100 millimetri di mercurio ed appunto il valore del D-dimero elevato.
Tutta la più recente Letteratura internazionale (ultime settimane) si sta concentrando sulla patogenesi iper-coagulatoria del virus quale causa principale dell’evoluzione sfavorevole della malattia e sull’impiego, il più precocemente possibile, della terapia eparinica. Il dosaggio del D-dimero rappresenta oramai, in ogni paziente portatore ella malattia Covid-19, in ogni centro clinico, il più importante dato di semeiotica laboratoristica per scoprire l’inizio e la progressione della microtrombosi determinata dalla malattia.
Il D-dimero è infatti un frammento proteico della fibrina, derivato dalla sua degradazione e rilevabile nel sangue in caso di fibrinolisi. La sua determinazione trova indicazione clinica nella diagnosi e nel monitoraggio delle sindromi da ipercoaguilazione. Ed in particolare della temibile complicanza del Covid-19: la coagulazione intravascolare disseminata. La misurazione può presentare alta sensibilità ma bassa specificità ed il risiltato deve essere sempre interpretato dal medico curante nell’ambito del quadro generale ai fini dell’introduzione della terapia con eperina.
BIBLIOGRAFIA
Abstract: The potential risk factors of older age, high SOFA score, and d-dimer greater than 1 μg/mL could help clinicians to identify patients with poor prognosis at an early stage.
Authors:Fei Zhou 1 , Ting Yu 2 , Ronghui Du and coll. Clinical Course and Risk Factors for Mortality of Adult Inpatients With COVID-19 in Wuhan, China: A Retrospective Cohort Study; Lancet . 2020 Mar 28;.
Abstract: Anticoagulant therapy mainly with LMWH appears to be associated with better prognosis in severe COVID-19 patients meeting SIC criteria or with markedly elevated D-dimer.
Authors: Ning Tang , Huan Bai , Xing Chen and coll. Anticoagulant Treatment Is Associated With Decreased Mortality in Severe Coronavirus Disease 2019 Patients With Coagulopathy; J Thromb Haemost 2020 Mar 27.
Abstract: Coagulopathy in corona virus infection has been shown to be associated with high mortality with high D-dimers being a particularly important marker for the coagulopathy.1 In the latest paper from the same group, the use of anticoagulant therapy with heparin was shown to decrease mortality as well.
Author: Jecko Thachil.The Versatile Heparin in COVID-19. J Thromb Haemost . 2020 Apr 2.
Abstract: Severe coronavirus disease 2019 (COVID-19) is commonly complicated with coagulopathy, the difference of coagulation features between severe pneumonia induced by SARS-CoV2 and non-SARS-CoV2 has not been analysed (…) The 28-day mortality of heparin users were lower than nonusers In COVID group with D-dimer > 3.0 μg/mL (32.8% vs. 52.4%, P = 0.017)
Authors: Shiyu Yin , Ming Huang, Dengju Li , Ning Tang Difference of Coagulation Features Between Severe Pneumonia Induced by SARS-CoV2 and non-SARS-CoV2 J Thromb Thrombolysis . 2020 Apr 3.